Il Direttore Sviluppo Internazionale Bioplast ha partecipato alla seconda tappa di #RoadToSocialChange, il percorso di formazione e ispirazione per far crescere la cultura e le competenze manageriali sulla Sostenibilità Integrale e ESG.

Il format è organizzato dalla Banking Academy – ESG Italy di UniCredit in collaborazione con: AICCON, TIRESIA Polimi, POLIMI Graduate School of Management, Fondazione Italiana Accenture ETS e TechSoup Italia. Gambardella ha portato la sua testimonianza e la storia dell’azienda Bioplast – Flexible Packaging in una location bellissima – lo stabilimento della IDAL Group a Salerno – dove ha incontrato professionalità molto diverse ma accomunate da una visione del futuro fatta di sostenibilità, innovazione e inclusività. Ecco un estratto del suo intervento:

Nei prossimi anni, avremo bisogno di centinaia, migliaia di Social Change Manager e mi fa davvero molto piacere vedere qui, oggi, tanti giovani interessati a mettersi in gioco e dare il proprio contributo per la comunità alla quale appartengono. Anche io, con il mio intervento di oggi, spero di riuscire ad aggiungere un tassello utile per il vostro percorso di formazione. 

Ciò su cui vorrei soffermarmi sono alcune best practices di governance che, proprio qui al Sud Italia, hanno generato un impatto sociale positivo ed un forte sviluppo territoriale. Come Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Salerno, da tre anni anni lavoro pressoché quotidianamente su questi temi – in particolare per quanto riguarda l’ambito della formazione, della digitalizzazione e delle startup – e ho avuto modo di conoscere, incontrare e toccare con mano degli esempi davvero virtuosi di “governance condivisa” tra pubblico e privato capace di porre un argine ai problemi endemici del nostro Mezzogiorno: la fragilità delle infrastrutture, lo spopolamento delle aree interne e – soprattutto – la fuga dei giovani costretti a lasciare il proprio territorio per trovare un impiego ed una retribuzione adeguati. A tal proposito, vorrei velocemente citare un dato per me estremamente significativo: secondo una stima Istat e Svimez, ogni dieci minuti, giorno e notte compresi, un giovane emigra dal Sud verso il Nord. Sono infatti 134 mila le persone che ogni anno lasciano il Meridione, di questi la metà ha meno di 30 anni e un terzo è laureato. Sono risorse sottratte al Mezzogiorno, ma formate nel Mezzogiorno, con un costo non indifferente per il nostro sistema scolastico e universitario.

Se vogliamo avviare un concreto ed efficace “social change” qui al Sud dobbiamo innanzitutto invertire questo trend. Far restare e far tornare i giovani: è questa la sfida cruciale alla quale saranno chiamati, nei prossimi mesi e nei prossimi anni, tutti i Social Change Manager. Non possiamo assolutamente permetterci di perdere tutte queste risorse umane ed economiche. Per convincere i giovani a restare nel proprio luogo di origine non servono soltanto bonus e incentivi: è necessario offrirgli, concretamente, la possibilità di ottenere un lavoro tutelato, un compenso adeguato e servizi indispensabili per metter su famiglia e vivere una vita all’altezza delle proprie aspettative. 

Come vi dicevo, vorrei soffermarmi ora su di un caso, una best practice – ma se ne potrebbero citare altre ugualmente valide – capace di innescare, valorizzare e accompagnare processi di cambiamento e innovazione ad alto impatto sui territori e sulle comunità che lo abitano. Sto parlando del progetto “Sanza: il borgo dell’accoglienza”, oggetto di un finanziamento di 20 milioni di euro stanziati dal PNRR. L’elemento centrale del progetto è la creazione di un sistema di albergo diffuso situato nel borgo antico del Comune di Sanza, in provincia di Salerno, con camere e servizi dislocati in diversi edifici, in modo da garantire gli assi portanti del progetto: accoglienza turistica; residenza e spazi laboratoriali; residenze d’artista; residenza e spazi per terza età. Un luogo pensato anche per il creative social coworking, con lo sviluppo di progetti imprenditoriali che ospitino professionisti in un ambiente che non è solo lavorativo ma anche comunitario. Nell’ottica della sostenibilità, specifiche linee guida renderanno il progetto a basso impatto ambientale, regolando il riciclo ecocompatibile dei rifiuti urbani e il recupero delle acque piovane.

Questo progetto è una best practice perché si innesta sulla specificità di un territorio, rispetta la sua tradizione ma, al tempo stesso, apre la porta a nuove opportunità economiche, nuove attività produttive e nuove forme di socialità. É proprio su questo che bisogna puntare quando si interviene su di un territorio o una comunità in un’ottica di social change: rispettare la sua specificità e liberare nuove forze propulsive che siano sostenibili nel medio/lungo periodo. Per realizzare tutto questo, un aspetto sul quale è necessario intervenire è sicuramente la burocrazia, una macchina troppo lenta e farraginosa rispetto alle evoluzioni velocissime del mercato di oggi. La burocrazia ha spesso ostacolato lo sviluppo dei territori periferici del Sud Italia. Con un massiccio intervento di snellimento delle procedure e ottimizzazione della governance pubblica e privata, la stessa burocrazia può diventare un’importante leva di sviluppo.

Quelle di cui stiamo parlando sono sfide difficili ma ci sono alcuni dati che fanno ben sperare. Secondo una recente indagine del Forum Ambrosetti, il 49% delle aziende del Sud ha dichiarato di aver investito nel triennio 2020-2022 risorse per il miglioramento delle proprie performance. Un dato che si confronta con il 41% in Italia. Il 43% delle imprese meridionali ha impegnato in tal senso oltre il 30% del fatturato nell’ultimo triennio. Guardando ai prossimi tre anni, invece, il 41% prevede di incrementare i propri investimenti nel digitale di almeno il 15% mentre il 34% farebbe lo stesso nella ricerca in collaborazione. 

Come Social Change Manager, avrete dunque la responsabilità di assistere le imprese e gli imprenditori nelle sfide che li attendono nei prossimi anni. Sia nel pubblico che nel privato, dovrete occuparvi della promozione della governance favorendo la collaborazione (piuttosto che la competizione) tra i soggetti presenti nello stesso territorio. Perché una “buona” governance non rispecchia solo i valori dell’onestà, della trasparenza e del rispetto, ma anche la creatività, l’innovazione, la capacità di integrarsi in modo consapevole nel sistema economico-sociale di riferimento e la valorizzazione del capitale, soprattutto quello umano. Dovrete perciò essere in grado di sviluppare una visione trasformativa e, in collaborazione con le comunità locali, di implementare tale visione tramite processi di coprogettazione e co-produzione in partenariato con attori pubblici e privati del territorio, attraverso strumenti di gestione dell’impatto generato e l’utilizzo delle tecnologie digitali. Sono i contesti socio-economici e le condizioni ambientali che sviluppano i modelli di governance più efficaci. É necessaria dunque un’alleanza tra le forze politiche, le imprese e i protagonisti della formazione affinché il Sud possa affermarsi come motore del Mediterraneo.

Il contributo più utile che oggi possiamo dare sta dunque proprio nella condivisione della conoscenza e la creazione di rapporti di cooperazione. Come imprenditori e stakeholders, dobbiamo sostenere le comunità in cui siamo presenti promuovendo la circolarità delle informazioni, innescando collaborazioni virtuose, incoraggiando una narrazione che metta al centro il nesso cruciale tra produttività e impatto sociale guidati da figure professionali formate e competenti come quelle che qui, oggi, stiamo contribuendo a formare”. 

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